giu82015
Il ruolo della farmacoeconomia sta diventando sempre più rilevante nel nostro settore. La crisi economica nei Paesi con sistemi farmaceutici maturi ha determinato una riduzione, o quantomeno il non incremento, delle risorse dedicate alla spesa. Al contrario, le richieste dei pazienti salgono sia per il progressivo invecchiamento della popolazione e aumento di quella che ha accesso alle cure, sia per la disponibilità di trattamenti per patologie che solo fino a pochi anni fa avevano scarse possibilità terapeutiche.La farmacoeconomia è terreno d'elezione per i payer, d'altronde nasce come disciplina che serve per usare al meglio le risorse a disposizione, limitate per definizione, orientandole verso terapie con migliore rapporto costo/beneficio, adottando provvedimenti in grado di garantirne un accesso equo e un uso tale da massimizzarne l'efficacia, sia clinica che economica.In tale contesto, i colleghi che operano per esempio nelle farmacie ospedaliere o in altre sedi di gestione della spesa hanno il compito sempre più difficile di mantenere l'equilibrio tra risorse limitate e richieste dei pazienti.I farmacisti dell'industria hanno un compito altrettanto sfidante: rendere sostenibili gli investimenti in R&D e produzione, che sono in costante aumento, in un contesto in cui il mercato tende a limitare i ricavi. In qualunque ambito si operi l'obiettivo generale è comune: far arrivare al paziente le terapie di cui necessita.
In tale quadro, l'uso della farmacoeconomia sta aumentando in tutti i processi decisionali che fanno parte della filiera delle attività farmaceutiche per passare dal laboratorio al paziente.In R&D da tempo la farmacoeconomia è integrata con i processi di programmazione strategica: nel percorso di invenzione di una nuova entità terapeutica si valutano i costi di ricerca e il profilo di prezzo, accesso ed efficacia rispetto alle terapie esistenti.Le attività che ricadono nel patient access (gestione dell'accesso al paziente e rapporto con i payer) sono basate sulla farmacoeconomia: è qui che si decide in che termini i frutti di un lungo percorso di R&D e produzione possono raggiungere il paziente.
La produzione è il ponte tra il laboratorio e il paziente, rappresenta il comparto più importante del settore con circa 28 miliardi di fatturato e fino a non molto tempo fa era poco impattata dal concetto di efficienza operativa ed economica. Oggi invece è cruciale per essere competitivi: molti colleghi applicano quotidianamente un approccio economico strutturato per tenere sotto controllo le attività operative. Tutto ciò dovrebbe essere integrato con la farmacoeconomia perché la produzione richiede investimenti il cui ritorno avviene nel medio-lungo termine: per pianificare strategicamente gli investimenti oggi, dobbiamo prevedere i farmaci di domani in termini di tipologia, tecnologia, volumi, tempi e marginalità alla produzione. Ovviamente quest'integrazione è complessa anche alla luce del fatto che spesso si esporta in molti Paesi, ognuno dei quali avrà una dinamica di sviluppo del mercato differente.
Il farmacista ha il vantaggio di avere una formazione multidisciplinare tale da potere operare in tutte le aree, dalla R&D al paziente, e su questa base può innestare con successo competenze farmacoeconomiche.Un altro vantaggio è che la formazione universitaria e l'attività professionale, ovunque essa sia esercitata, prevede lo studio della legislazione farmaceutica, la cui conoscenza è fondamentale per interpretare i meccanismi di prezzo, rimborso e accesso del farmaco.In tal senso, sarebbe auspicabile un incremento dello studio non solo della farmacoeconomia ma in genere di tutte le discipline economiche correlate alla nostra professione già dall'Università, garantendo ai giovani colleghi le competenze chiave per operare in modo competitivo in tutto il nostro settore, a prescindere dall'area in cui eserciteranno la professione.
Michele Panzitta
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